Due studiosi spagnoli hanno sperimentato con risultati molto promettenti la possibilità di poter individuare in modo automatico la dispersione sul terreno di frammenti fittili archeologici, il rinvenimento più comune nelle operazioni di prospezione archeologica intensiva, utilizzando immagini ad alta risoluzione da drone, fotogrammetria e una combinazione di apprendimento automatico (machine learning, branca dell’Intelligenza Artificiale) e analisi geospaziale eseguite nella piattaforma di open cloud computing geospaziale di Google Earth Engine.
Si tratta di H.A. Orengo, ricercatore dell’Istituto Catalano di Archeologia Classica, e A. Garcia-Molsosa, Curie Fellow all’Università di Cambridge,e il loro studio innovativo compare sul Journal of Archaeological Science 112 di dicembre 2019.
I termini per l'analisi autoptica del territorio a fini archeologici sono numerosi: survey, prospezione archeologica, ricognizione, perlustrazione, fieldwalking. Tutti per indicare, con differenze semantiche tra loro a volte veramente sottili, una delle tecniche più note e diffuse insieme a telerilevamento e geofisica per pervenire a una conoscenza quanto più organica ed integrale possibile del territorio, del suo assetto antico e alla ricostruzione dei suoi paesaggi passati con l’individuazione di siti, insediamenti, infrastrutture e altri segni lasciati dall'attività umana nello spazio geografico nel corso del tempo. Momento imprescindibile della ricerca storico territoriale costituisce una delle modalità operative per l’elaborazione della Carta Archeologica che ricompone tutte le informazioni acquisite da fonti e metodi diversi in quadro organico e stratificato. A sua volta la Carta Archeologica è lo strumento fondamentale per ogni attività di tutela, di conservazione, fruizione e di valorizzazione del patrimonio culturale.
Sicuramente il survey archeologico è un protagonista di primo piano della ricerca archeologica.
Nel survey i “ricognitori” percorrono il territorio seguendo linee parallele o una griglia, intervallati tra loro secondo distanze prestabilite costanti, a seconda dell’intensità che si vuole dare all'indagine. Individuano e localizzano su una base cartografica, oggi tramite i dispositivi GNSSS/GPS, la persistenza e sopravvivenze di elementi antichi, monumenti, infrastrutture, tracce di attività, e dispersioni di elementi della cultura materiale del passato. Il ritrovamento prevalente è costituito dalle aree di dispersione di frammenti fittili e di materiale edilizio. A volte la prospezione viene condotta dai fieldwalker a tendenziale copertura totale, sistematica, capillare, su spettri cronologici e culturali molto ampi oppure avendo in mira periodi storici ben delimitati. Altre volte i camminatori procedono indagando aree campione secondo transetti anch'essi distanziati tra loro ma per centinaia di metri. A volte determinate aree ristrette vengono quadrettate e analizzate con estrema cura. Per pianificare le operazioni di ricognizione ma anche per analizzarle e rappresentarne i risultati del sistema informativo che grazie a esse si realizza sono impiegate abitualmente le piattaforma GIS.
Questa modalità di lavoro archeologico non va intesa in maniera totalizzante. Bisogna avere sempre coscienza dei suoi limiti. Non sempre le aree che vengono individuate in superficie corrispondono per esempio alla presenza nel sottosuolo nello stesso punto di altri oggetti o resti di edifici antichi e questo perché i processi di deposizione e di dispersione di materiale ceramico in superficie sono i più vari e complessi.
Molte poi le difficoltà che i “ricognitori” incontrano. Vanno dall'accessibilità ai fondi privati, alla copertura vegetale che ostacola o impedisce del tutto la visibilità, alla necessità di disporre per la sua effettuazione di un survey di competenze specialistiche e della capacità di vedere e di discriminare. I GIS aiutano ma l’occhio del topografo dell’antichità, la sua esperienza costituiscono un aspetto irriducibile e fondamentale per le analisi successive. Il survey va condotto poi in finestre temporali ottimali che spesso sono brevi, a volte coincidono con l’aratura ma anche insieme con le piogge che rendono i campi impraticabili per giorni, esige vegetazione ridotta al minimo, assenza di temperature elevate. E poi le difficoltà poste dai terreni compattati o dal bosco o da specificità geomorfologiche. Spesso le prospezioni si svolgono nel contesto della cosiddetta archeologia preventiva con tempi accelerati determinati dalle esigenze dei cantieri. Non da ultimo i tempi e conseguentemente i costi per sostenere le operazioni. Per ricognire un km2 sono in genere necessari non meno di 18 giornate/uomo con un orario di lavoro che non può in genere eccedere le cinque ore dopodiché cala drasticamente l’attenzione. Ancora, la necessità di conservare grandi quantità di frammenti di ceramica e la post-elaborazione e lo studio per l’analisi e la classificazione di così grandi quantità di materiale raccolto. A volte la valutazione e interpretazione dei frammenti fittili è stata legata da alcuni studiosi a metodi quantitativi controversi. In sostanza tanto tempo, tanta fatica, tante controversie metodologiche, tante difficoltà.
Il territorio italiano vanta esperienza importanti nella Carta Archeologica, e nella prospezione di superficie, che partono da Nibby a Tomassetti e che nella seconda metà del XIX secolo vedono la pionieristiche impresa in Etruria di Gamurrini, Cozza, Pasqui e Mengarelli, lucida per criteri ispiratori, ricognizione diretta dei luoghi e volontà di copertura completa e sistematica dell’intero territorio nazionale. E poi Lanciani e Ashby. Imprese proseguite con aggiornamenti metodologici e innovazioni da Lugli e da Castagnoli con la Forma Italiae e da tanti altri eminenti studiosi nel secondo dopoguerra. Numerose le ricognizioni di Quilici, Quilici Gigli, Belvedere, di molte università e scuole archeologiche straniere come la Scuola Britannica e poi con assunti metodologici, approcci e obiettivi parzialmente diversi da quelli delle scuole di topografia antica italiana gli apostoli italiani dell’archeologia dei paesaggi,della landscape archaeology e in generale della New Archaeology, Cambi, Terrenato, e ancora Carandini, Manacorda, Francovich e molti altri.
Tuttavia i territori investiti in vari decenni da questo tipo di indagine non sono tantissimi, meno di cinquanta volumi per la Forma Italie ognuno dei quali corrispondenti a una tavoletta IGM scala 1 :25.000, base cartografica assunta per le ricerche, rispetto alle varie centinaia in cui è suddiviso il territorio nazionale. Ovvero siamo ben distanti dalle stime ottimistiche di studiosi come Alcock e Cherry che stimano all’inizio del XXI secolo in milioni di ettari i territori indagati nel solo bacino del Mediterraneo.
Adesso i due studiosi Orengo e Garcia-Molsosa offrono una prima sperimentazione di un’idea che al dire il vero da tempo circola fra gli studiosi: poter individuare su grandi aree grazie al remote sensing, da piattaforme satellitari, era lo strumento che si immaginava di utilizzare, in modo automatico, poi da perfezionare manualmente,la dispersione sulla superficie dei campi di frammenti fittili. E’ quello che proprio si sono proposti di fare due studiosi utilizzando però immagini ad alta risoluzione da drone, fotogrammetria e una combinazione di apprendimento automatico e analisi geospaziale eseguita nella piattaforma di open cloud computing geospaziale di Google Earth Engine.
La loro proposta è intrigante e si propone di incorporare nel lavoro archeologico tutta l’innovazione tecnologica del momento: il machine learning utilizzato comunemente da varie app e social media per il data mining e l'analisi. A seguire vengono integrati i droni soprattutto quelli aerei divenuti economici e con capacità tecnologiche sino a poco tempo fa impensabili, dal tempo di volo, alla sua pianificazione, alla stabilità, alla qualità e risoluzione dell'immagine adatta ora alle esigenze della ricerca archeologica, all'elusione degli ostacoli. Poi i software di fotogrammetria digitale a basso costo o open source con gli algoritmi structure from motion con le loro procedure semi-automatizzate di co-registrazione, nuvola di punti, generazione di superfici e mesh e la diffusa distribuzione di software di fotogrammetria a basso costo e open source. Infine lo sviluppo dei servizi di cloud computing ampiamente accessibili tra cui Amazon AWS e Google Cloud Platform. Questi offrono la possibilità di utilizzare la potenza di calcolo necessaria per lo sviluppo di analisi approfondite e su larga scala.
La novità di questo studio è proprio nella definizione di un flusso di lavoro che combina una serie di recenti sviluppi tecnologici tra loro indipendenti e li integra nel lavoro archeologico.
Una scelta innovativa, coraggiosa che certamente aprirà un dibattito tra gli specialisti del settore e nuovi orizzonti per il survey archeologico.I risultati pubblicati mostrano le potenzialità sul campo di questa metodo, certamente in determinate circostanze, per produrre mappe di distribuzione accurate di frammenti ceramici sul terreno.
Lo studio mette con molta onestà in luce i limiti e sottolinea anche i possibili auspicabili sviluppi futuri di questo metodo che, va sottolineato, gli autori ritengono debba rimanere complementare anzi, diciamo noi ausiliario, alla prospezione diretta a piedi dell’archeologo, con l’intento di passare alla gestione delle macchine gran parte del lavoro non specialistico che accompagna il survey. Nelle intenzioni esso mira a migliorare le tradizionali strategie di raccolta dei dati e fornisce nuovi modi per affrontare alcune delle carenze della registrazione delle evidenze archeologiche basata sui fieldwalker. Certamente le aree di frammenti fittili che il metodo da loro messo a punto promette di rilevare in maniera automatica non sono il survey.
Il Caso di studio è costituito dall'indagine in corso sviluppata dal Progetto Archeologico di Abdera e Xanthi (APAX) in cui gli autori sono attualmente coinvolti, diretto dall'Ephoria (Soprintendenza) di Xanthi nella Grecia nord-orientale in collaborazione con ricercatori dell'Università nazionale e Capodistriana di Atene, dell'Università di Salonicco e dell'Università della Catalogna. L’obiettivo generale del progetto è quello di studiare i cambiamenti dei modelli di occupazione della città arcaica e classica di Abdera (ca. dal VII al III a.C.). La prospezione intensiva di superficie è stata considerata come lo strumento più adeguato da impiegare allo scopo. Una ricognizione del genere, ne sono consapevoli gli autori, non potrà essere replicata per questioni di tempo e di costi in territori molto vasti.
La prospezione è però servita ai due studiosi per confrontare i dati e validare la loro soluzione automatizzata con i migliori risultati possibili ottenibili dal rilevamento tradizionale. Pertanto sono state selezionate all’interno del progetto per il loro studio pilota due aree rappresentative delle condizioni dei campi durante una tipica stagione di lavoro archeologico ad Abdera. Dopo la sperimentazione le due aree sono stati suddivise con una griglia 5 × 5 m e tutti i frammenti di ceramica in ciascuna griglia sono stati registrati in modalità ultra intensiva, ben oltre la pratica standard.
Circostanza interessante è che i ricercatori invece di una buona visibilità del terreno ideale per il rilevamento della ceramica, abbiano selezionato quelli in cui la visibilità era relativamente bassa e le condizioni di rilevamento non erano le migliori disponibili, non campi dunque arati di recente ma con un'alta presenza di vegetazione, pietre e ombre, elementi che inficiano l'efficacia del rilevamento, con sedimenti che presentassero tonalità simili a quelli della ceramica. Questa selezione intendeva valutare il successo della tecnica testandola in circostanze tutt'altro che favorevoli per garantire la sua applicazione alla più ampia gamma possibile di condizioni del terreno. Inoltre lo studio pilota mirava a esplorare le possibilità di risposta agli obiettivi di un progetto come APAX.
Veniamo ad alcuni punti del metodo messo a punto rimandando all'articolo per i particolari della procedura spiegata in dettaglio dai due ricercatori che hanno allegato un algoritmo sviluppato per l'estrazione automatica..
Al posto del ricognitore umano il drone che vola a 3 m dal suolo per acquisire le immagini. E’ stato utilizzato un DJI Phantom 4 Pro v.2.0 modello economico, di qualità, un tempo di volo di 30 minuti, molto stabile grazie al suo GPS e ai sensori, capacità di evitare gli ostacoli, fotocamera con un'ottica di buona qualità, otturatore meccanico e una risoluzione di 20 MP. Software di pianificazione del volo Litchi, altezza di 3 m dal suolo come si è detto, sufficiente per identificare chiaramente i frammenti di ceramica al suolo. velocità di volo di 0,61 m /s, foto scattate automaticamente ogni 2 sec, traiettoria di volo secondo linee parallele. Per l’elaborazione fotogrammetrica delle immagini acquisite dal drone con creazione dell’ortofoto (file tiff non compresso) si è utilizzato il programma Agisoft PhotoScan Professional v. 1.2.6.
Quindi la fase complessa dell’elaborazione computazionale delle immagini. Le immagini ortometriche sono state caricate in Google Earth Engine (EE), la piattaforma dove è stato possibile combinare le analisi geospaziali con gli algoritmi di apprendimento automatico. Basata sul Web da accesso gratuito alle risorse e ai servizi di calcolo in parallelo di Google Cloud. Dopo la registrazione, EE è libera e chiunque disponendo di ortofoto può riprodurre, modificare e utilizzare l'algoritmo. EE ha alcune limitazioni tra cui la dimensione massima di 10 Gb per ogni immagine caricata. Tuttavia, molte immagini possono essere caricate fino al limite di archiviazione corrente di 250 Gb. Tra i passi importanti di questa fase la generazione delle analisi di texture e/o del gradiente e quindi la generazione di un’immagine composita. Scelto un classificatore di apprendimento automatico Random Forest (RF) e addestratolo lo si è utilizzato per classificare l'immagine composita. Ciò ha prodotto un primo risultato di classificazione dell’immagine. La classificazione è stata confrontata con l'ortomosaico per valutare la sua risposta in presenza di frammenti ceramici visibili. Sono stati generati nuovi poligoni di addestramento ed eseguita una nuova iterazione dell'algoritmo RF che ha prodotto un tasso di identificazione molto elevato. L'ultimo processo dell'algoritmo è stato la vettorializzazione dei risultati del filtro applicato, che ha generato un layer vettoriale poligonale in cui ogni elemento rappresentava un frammento di ceramica, trattabile successivamente con software GIS ai fini per esempio della generazione di più mappe a partire da quella di densità.
Quindi i due ricercatori passano a una valutazione in termine di analisi costi benefici delle due tecniche utilizzate, quella della ricognizione a piedi e quella automatica con un risultato apparentemente sbalorditivo: il metodo automatizzato è stato in grado di documentare quasi cinque volte più frammenti di ceramica 9,5 volte più velocemente rispetto al metodo standard.
Orengo e Garcia-Molsosa non nascondono alcuni aspetti come le grandi risorse computazionali necessarie per condurre l'analisi fotogrammetrica e di apprendimento automatico, le competenze necessarie in Machine Learning, l’inadeguatezza dei droni attuali in alcuni contesti, l’incidenza delle condizioni di luce e la presenza di ombre,l’esclusione dalla riconoscibilità di alcuni elementi della cultura materiale diversi alla ceramica cui non può sopperire del tutto l’analisi della texture.Tra gli sviluppi futuri i due ricercatori scorgono come assai promettente l'utilizzo di immagini multispettrali e, soprattutto, termiche che comporterà anche un aumento qualitativo del rilevamento ceramico data la differenza nelle firme termiche tra ceramica, pietre, terra e vegetazione. La risoluzione delle telecamere termiche è ancora approssimativa rispetto alle telecamere ottiche e multispettrali, ma importanti miglioramenti sono in vista.