ll ministero della Difesa israeliano ha scelto per il rilascio delle prime immagini pubbliche del suo nuovo, potentissimo satellite spia, Ofek 16, tre riprese del sito archeologico Patrimonio Mondiale dell'umanità UNESCO di Palmyra, in Siria. Elaborate dall'Unità 9900 di ricognizione geografica e visiva delle IDF, le immagini non riportano data o altre informazioni e sono state realizzate probabilmente nelle settimane intercorse tra il lancio del satellite avvenuto il 6 luglio dalla base aerea di Palmachim, nella parte centrale del paese, con un lanciatore Shavit, e il 25 agosto, giorno del comunicato stampa. La prima immagine ha un focus sul teatro di epoca romana adiacente al Tempio di Bel.
Le altre due sono centrate invece proprio sul basamento di questo tempio che l'ISIS ha fatto esplodere nel 2015 con tracotante esibizionismo durante la sua l’occupazione dell’area insieme a diversi altri monumenti significativi come alcuni templi, tombe a torre, un arco di trionfo perché considerati in contrasto con la propria interpretazione della fede islamica. Distrutto e saccheggiata anche Dura-Europos, antica città carovaniera sull'Eufrate, cara alle prime memorie monumentali cristiane. L’Isis/Daesh ha perso il controllo di Palmyra nel 2016 in seguito alla controffensiva delle forze governative di Bashar Al Assad sostenute dalla Russia. Un mese dopo, proprio tra le rovine del teatro, si è tenuto l'emozionante e indimenticabile concerto dell’orchestra del Teatro Marinskij di San Pietroburgo diretta da Valerij Gergiev.
Tutte le immagini sono in scala di grigio e sono state degradate per non palesare le reali capacità, probabilmente sub decimetriche, di Ofek 16.
Il satellite, realizzato dalle Israel Aerospace Industries, ancora non ufficialmente pienamente operativo, ha un apparato elettro-ottico di capacità e qualità avanzate. E’ equipaggiato con telecamera Jupiter Space di Elbit Systems, che vanta il miglior rapporto capacità/peso rispetto a qualsiasi altra prodotta sino a oggi. Si tratta di una fotocamera multispettrale in grado di catturare immagini che coprono un'area totale fino a 15 chilometri quadrati (5,8 miglia quadrate), con una risoluzione di 50 centimetri (ma probabilmente quella effettiva e segreta, come si è detto, è diversa) da un'altitudine di 600 chilometri. La fotocamera è stata sviluppata nell'ambito di un progetto congiunto, finora classificato, tra il dipartimento di ricerca e sviluppo del ministero della difesa israeliano, noto con l'acronimo ebraico MAFAT, e l'appaltatore della difesa Elbit Systems. E’ costato centinaia di milioni di shekel e include una filiera industriale per la produzione di lenti e specchi cilindrici nonché una camera a vuoto che simula le condizioni dello spazio e che viene utilizzata per controllare e calibrare le telecamere satellitari che devono ancora essere lanciate nelle missioni spaziali.
Alla scelta del sito UNESCO le fonti ufficiali israeliane non attribuiscono alcun significato, anche il più labilmente distensivo che pure potrebbe cogliersi, ma nel 2018 un rilascio simile di immagini dal precedente satellite Ofek 11 aveva riguardato invece in maniera significativamente esplicita il palazzo presidenziale di Assad nonché una base militare siriana e l'aeroporto internazionale di Damasco.
Intanto sia a Palmyra che ad Aleppo non solamente la ricostruzione dei molti dei tesori architettonici della Siria ridotti in macerie è iniziata ma è in corso, tra mille difficoltà, principalmente con finanziamenti esteri. Ne parla su The Guardian l'architetto Rowan Moore. Tra le tante organizzazioni impegnate l' Aga Khan Trust for Culture sostiene la ricostruzione di alcuni souk di Aleppo. Diverse chiese sono state restaurate con l'aiuto di congregazioni straniere. Anche il Museo di Arte Islamica del Pergamon Museum di Berlino, che ospita alcuni tesori da Aleppo, sta lavorando con il progetto denominato Syrian Heritage Initiative che ha in particolare raccolto un archivio di 200.000 fotografie di siti siriani scattate prima della guerra. Una fonte preziosissima di dati, da gestire su piattaforme tecnologiche adeguate, per informare la ricostruzione di edifici storici e delle forme e della disposizione dei quartieri residenziali di alcune città come Aleppo in maniera che la ricostruzione possa seguire in qualche modo gli schemi urbanistici passati.
Un aspetto importante è stato indubbiamente costituito dal lavoro di raccolta delle testimonianze orali delle persone che ad Aleppo vivevano e lavoravano realizzando così un'esemplare liaison tra la comunità scientifica internazionale e la popolazione. Non manca anche l’impegno delle aziende locali ed estere.
Proprio ad Aleppo la questione cruciale non è quella come a Palmyra di registrazione di pietre, di loro identificazione, conservazione e di anastilosi di monumenti o come quella per la sua moschea degli Omayyadi, sorta sul sito dell'agorà dell'ellenistica Beroea, con il minareto, crollato nel 2013 , dei 2.000 frammenti rilevati, catalogati e disposti nel cortile che devono essere ricomposti. Ad Aleppo entra piuttosto in gioco il patrimonio culturale vivente e anche quello immateriale, ovvero tutto ciò che animava ed era Aleppo.
Aleppo-Halab era un tempo incarnazione della ricchezza materiale e culturale della Siria, proprio con la sua cittadella, i souk, rete di vicoli e di strade coperte, la moschea degli Omayyadi, la policromia della sua architettura. Il restauro di alcuni souk è stato accompagnato da sforzi per garantire che i proprietari dei negozi originali possano tornare. Si cerca in particolare di far tornare gli scalpellini locali perché applicando le tecniche addestrino di nuovo le persone a formare le persone in modo che la filiera dei saperi artigianali, le competenze tornino a trasmettersi e non vadano disperse.
In cinque anni, sinora sono stati ricostruiti o riabilitati 650 metri di souk coperto, su un totale originario di 9 km. Veramente troppo poco.