La scoperta del sito archeologico di 12 km. di estensione a Serranìa de la Lindosa nel Guaviare in Colombia risale a più di tre anni fa ed è dovuta alla possibilità tecnologica, nota a queste pagine, di astrarre la stratigrafia del terreno sottostante al fogliame della vegetazione amazzonica dal rilievo satellitare, sviluppato dal Progetto Copernicus dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea. La ricerca ha avuto tra i protagonisti del team britannico-colombiano, che ha focalizzato e analizzato l’area d’interesse, il professore di archeologia all’Università di Exeter José Iriarte, che si è avvalso del finanziamento dell’European Research Council del progetto Lastjourney.
Il territorio nella foresta amazzonica alle porte del Venezuela, foresta che si è formata nell’Eocene, è incontaminato e impenetrabile e, fino a pochi anni orsono, conteso ai narcotrafficanti e a lungo controllato dalle FARC, le Forze Armate rivoluzionarie o Esercito del popolo, e fino alla recente scoperta annoverava insediamenti antropologicamente databili non prima dell’800 a. C., appartenuti alla preistoria delle popolazioni indigene Yanomani e Kayapo.
Il sito è stato datato a 12500 anni fa, verso la soglia del primo Olocene, in cui l’Homo sapiens, raggiunti i territori delle Americhe, si era insediato nella folta foresta amazzonica equatoriale, caratterizzata da innumerevoli corsi d’acqua, alimentandosi oltre che di frutti tropicali, dei prodotti della caccia e della pesca. L’imponente scoperta consiste letteralmente di chilometri di pittografie rupestri a sanguigna e ocra che a migliaia tappezzano le rocce, istoriando figurazioni zoomorfe e fitomorfe e altri segni geometrici e simbolici in suggestive composizioni a riempimento, che presuppongono un’esecuzione almeno in parte svolta dall’alto di rami sporgenti dagli alberi, per la sua grande estensione e massificazione compiuta attraverso più generazioni.
E’ questo uno dei fattori più convincenti ad avanzare più che probabile la datazione, che solo ora è stata divulgata, dell’immensa opera di illustrazione dei riti sacrificali praticati, e cioé quello della bassa statura degli ominidi che sola avrebbe consentito loro, al pari degli altri primati, di raggiungere posizioni acrobatiche collinari con o senza l’aiuto di liane, tali da arrampicarvisi e da potersi mantenere in bilico in posizione sopraelevata per scavare, allisciare e dipingere a perpendicolo perfino pareti rocciose verticali, con l’uso di utensili e per mezzo delle dita e di foglie a guisa di pennelli, presupponendo allo Zenith la luce solare. Oltre, naturalmente, all’inedita abilità di ritrarre mastodonti, bradipi variegati, cavalli, paleolama e altri animali dell’era glaciale, che popolavano le zone non sempre interamente coperte da vegetazione e di cui pure gli iperborei dovevano cibarsi, avvalendosi del fuoco per conservarli, eppure sincreticamente adorati come archetipi primitivi e marcatori di differenziate associazioni tribali nei costumi loro propri.
Ancora un’ipotesi avvincente che il regno delle Amazzoni sul Termodonte fosse stato esteso molto oltre il Bosforo e l’Eurasia, accarezzata in chiave onirico-mitologica dal titolo del documentario sulla straordinaria scoperta archeologica disseminato dallo scorso dicembre: Jungle Mistery: Lost Kingdoms of the Amazon, un altro luogo leggendario che si aggiunge al misterioso El Dorado della Guaiana. Certo non ancora abbastanza per affermare che la tecnica di fermentazione del pigmento estratto dall’ematite ferrosa della popolazione precolombiana dei Chihuahua si fosse fin qui diffusa e avvalsa della cavatura del minerale da giacimenti trovati anche in quest’area, ma sufficientemente erosa dai millenni, linguisticamente progredita e stupefacente al punto da poter definire il sito una Sistina preistorica e pittoricamente perfino la più audace arte delle rocce ritrovata, posta a paragone del primo ritrovamento nella Serranìa de Chiribequete, dal 2018 sito Unesco, che nell’odierno Chiribequete National Park della Colombia venne localizzato e mappato da Richard Evans Schultes nel 1940.
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