Grazie all'archeologia preventiva si sono aperte nuove e molteplici possibilità lavorative, dalla progettazione all'esecuzione, strettamente connesse all’aumentata applicazione della normativa. Nasce quindi una nuova concezione della figura dell’archeologo progettista, in grado di dialogare in maniera interdisciplinare con le altre professioni specialistiche. In quest’evoluzione si inseriscono perfettamente i campi professionali connessi alla lettura degli alzati in OG2 e la partecipazione alla redazione degli strumenti delle pianificazioni territoriali.
L’Archeologia preventiva e l’aumento delle possibilità lavorative e professionali
Le possibilità lavorative e professionali apertesi grazie all’archeologia preventiva si possono definire nuove, grazie alla relativa giovinezza dalla prima declinazione ufficiale (meno di un trentennio dalla prima applicazione sistematica e nemmeno un ventennio dalla normativa relativa), e molteplici in quanto si è passati dall’applicazione dell’art. 28 del Codice dei Beni Culturali al sistematico studio preliminare, obbligatorio in tutti i progetti pubblici.
Sul finire degli anni novanta del secolo scorso, lungo il progetto del tracciato del Treno Alta Velocità (TAV), si andarono a porre le basi di una nuova metodologia di gestione dell’archeologia, interna alle opere pubbliche. Il concetto di “rischio archeologico” cominciò a cambiare significato acquisendo quello di “metodologia di gestione”, come fu chiaramente riportato nell’articolo redatto, a nome del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, all’interno degli atti della giornata di studi svoltasi a Roma il 17 ottobre 2001.
Molte delle proposte metodologiche di quell’articolo divennero la base per la redazione della normativa che si ufficializza con il D.Lgs. del 12 aprile 2006, n. 163, quando per legge, in tutti i progetti, tranne poche eccezioni, viene imposto l’inoltro al “Soprintendete territorialmente competente, prima dell'approvazione, copia del progetto preliminare dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici (...) etc.”. Oggi nel susseguirsi delle norme, cambiate le fasi e le denominazioni dei progetti, resta il fatto che tra la varia documentazione da produrre vi sia obbligatoriamente la parte archeologica.
Cosa è cambiato da allora? Sicuramente il valore giuridico dell’archeologo che da semplice tecnico specializzato viene finalmente definito come progettista autorizzato a partire dall’aprile del 2019. Anche grazie ad Archeoimprese, in quella data (di poco antecedente al D.M. 244/2019) all’art. 46, comma 1, a) del D.Lgs. 50/2016 fu inserita una modifica apportata grazie all’art.1, comma 20, lettera i) della Legge 55 del 2019.
In questi pochi decenni l’archeologia preventiva ha quindi visto una sempre maggiore applicazione, con conseguenze importanti:
- evidenti, riguardo alla tutela;
- non evidenti, in quanto non è stata correttamene percepita l’aumentata necessità di archeologi professionisti, in grado di collaborare alla realizzazione dei progetti.
La mancata evidenziazione della maggiore richiesta di archeologi, formati per l’archeologia preventiva, ha visto come ricaduta, sicuramente negativa, l’assenza dell’inserimento sistematico del relativo insegnamento, in tutte le sue complesse declinazioni, in molti ambiti universitari. Ancor oggi nel recente allegato A al D.M. n. 639 del 02-05-2024 nella declaratoria delle “Metodologie della ricerca archeologica” si nota l’introduzione del tema “archeologia pubblica” ma non la citazione dell’archeologia preventiva, divenuta, invece, di contro uno dei contesti lavorativi certi.
Questa normazione a cascata ha quindi comportato una maggiore possibilità di prestazione professionale, dovuta ad una semplice formula matematica (+ incarichi = + lavoro = + possibilità occupazionale), con ricadute concrete anche per le successive fasi, fossero queste prestazioni di scavi archeologici programmati o attività di sorveglianza in corso d'opera.
Si è quindi aperto un ambito professionale legato alla progettazione suddivisibile in due momenti:
- l’archeologia preventiva (artt. 95/96 D.Lgs. 163/2016; poi art. 25 D.Lgs. 50/2016; oggi art. 38 comma 8 e 41 comma 4 con relativo Allegato I.8 del D.Lgs. 36/2023) che dovrebbe essere parte integrata della progettazione;
- la progettazione dei successivi interventi di scavo archeologico tramite capitolato normale e speciale; questi devono essere progettati esclusivamente da archeologi, come chiarito a partire dal suindicato art. 46 del D.Lgs. 50/2016, oggi recepito nell’art. 66 del D.Lgs. 36/2023, utilizzando l’Allegato II.18, nel rispetto della normativa vigente sulla figura dell’archeologo (art. 9 bis D.Lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42 così come introdotto a seguito della L. 110/2014 e del suo D.M. 244 del 20 maggio 2019).
Di contro proprio questa programmazione, che permette di uscire dal concetto di intervento emergenziale, vede non solo la necessita di archeologi progettisti, specificatamente formati ed in grado di interagire alla pari e con linguaggio condiviso con ingegneri, architetti, geologi, pianificatori, etc. ma apre la possibilità o meglio la necessità che vi siano anche figure specifiche nella progettazione come i geo-archeologi (questi ultimi caldeggiati al posto della coppia archeologo + geologo in Tabella 4 “voce indagini dirette” del D.P.C.M. del 14 febbraio 2022) o gli antropologi che, se necessario, dovrebbero essere cooptati in ottemperanza a quanto stabilito dal D.M. 244/2019 per le fasi dell’archeologia da concludersi entro il Progetto Esecutivo (art. 1, comma 10, Allegato I.8, D.Lgs. 36/2023).
Un’altra forma di archeologia preventiva: la pianificazione territoriale
Un altro ambito professionale che coinvolge un numero progressivamente in crescita di archeologi afferisce alla redazione delle carte di governo territoriali. Delegata alle Regioni, la redazione e applicazione delle norme pertinenti alla pianificazione territoriale vede un duplice aspetto:
- la positività di un’autonomia che tiene conto delle peculiarità territoriali;
- la discrezionalità circa la redazione delle carte archeologiche, lasciata a scelte politico-amministrative, che in assenza di obbligatorietà permette al piano di governo territoriale di essere approvato e adottato con la sola carta dai vincoli, deducibili, questi ultimi, da strumenti pubblici preesistenti.
Nel caso in cui l’ente sia così lungimirante da attivare la parte archeologica si apre un ulteriore doppio scenario che vede da una parte la scelta di redigere, oltre alla cartografa dei vincoli, la carta dello stato di fatto (prodotta sulla base della raccolta di dati confermati, come vincoli diretti e indiretti, fonti edite e inedite, risultati d’indagini e ricerche archeologiche, etc.), dall’altro l’aggiunta della carta del potenziale archeologico (un'elaborazione predittiva della carta dello stato di fatto, formulata da archeologi per "coprire" le porzioni non indagate del territorio, ipotizzando la presenza di elementi archeologici non ancora scoperti) e in aggiunta eventuale quelle della vulnerabilità (a valutare i probabili rischi di danneggiamento ai depositi archeologici).
In entrambi i casi l’archeologo cooptato nella progettazione del piano di governo deve necessariamente modificare la propria capacità professionale arrivando, anche in questo caso, ad interagire con gli altri componenti del gruppo, siano essi architetti, pianificatori, paesaggisti, geologi e ambientalisti. La sfida è inoltre la creazione di una nuova impostazione progettuale, che superi il concetto di "ricerca umanistica" a favore di una "progettazione pianificatoria". Quest’approccio partente dalla tutela del conosciuto, concretizzato nella Carta dello stato di fatto, sviluppa il potenziale archeologico (Fig. 1 – Fontanellato (PR), PUG, Piano Strategico, Tavola P.5 Carta del potenziale archeologico) attraverso metodi scientificamente corretti, possibilmente supportati dalla tecnologia, restituendolo tramite un linguaggio chiaro e condiviso che deve necessariamente essere:
- integrato in quello utilizzato dalle altre figure professionali coautrici dei piani di governo territoriale;
- redatto da un archeologo che collabora con altri professionisti, portando le proprie competenze all'interno di un team multidisciplinare;
- facilmente comprensibile in quanto deve essere letto ed interpretato da chi quelle carte dovrà utilizzare nella gestione del territorio;
- uno strumento che permetta sia al pubblico (Uffici Tecnici Comunali, Soprintendenze) che al privato di avere la parte archeologica inserita, se possibile insieme agli altri vincoli e tutele, in modo da permettere di scegliere fin dalla fase del Documento di Indirizzo alla Progettazione (DIP) la strategia migliore, fornendo altresì una cartografia che attribuisca un potenziale anche alle porzioni del territorio prive di segnalazioni.
Possiamo quindi rimarcare la necessità di un cambio di prospettiva che partendo dal concetto dell'archeologia preventiva, declini non più per singoli progetti ma su base territoriale. Il territorio diviene quindi il soggetto “del progetto” a cui l’archeologo non solo collaborerà con la redazione delle carte ma partecipando attivamente a delineare gli obiettivi e le scelte strategiche di assetto ed eventuali piani di sviluppo economici.
Fig. 1 - Fontanellato (PR), PUG, Piano Strategico, Tavola P.5 Carta del potenziale archeologico.
La progettazione archeologica “preventiva” all’interno dei progetti di restauro in OG2
In un tessuto insediativo come quello italiano ricco di edifici vincolati o tutelati, per l’archeologo si stanno aprendo possibilità di prestazione professionale, in qualità di aiuto progettista (così come normato dall’art. 53 del R.D. n. 2537, “Approvazione del regolamento per le professioni d'ingegnere e di architetto” del 23 ottobre 1925), all’interno della redazione dei progetti in OG2 (restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela).
Se l’OG2 non è per gli archeologi un ambito lavorativo sconosciuto, data l’attività di assistenza archeologica in corso d’opera esercitata anche oggi (seppure in limitati casi definiti dalla non sistematica prescrizione delle soprintendenze), è invece nuova la possibilità apertasi, sempre grazie alle sopra descritte modifiche apportate al valore giuridico della figura dell’archeologo, di collaborare alla progettazione del restauro. Questa, diretta dagli architetti o da ingegneri (art. 51, Capo IV, “Dell’oggetto e dei limiti della professione d’ingegnere e di architetto”) prevede, di norma, una lettura delle superfici e degli alzati che può, appunto, essere eseguita da archeologi proprio per la sua specifica valenza visto che deve includere l’interpretazione stratigrafica (comprensiva della fase della messa in opera e degli eventuali restauri), l’analisi delle condizioni di degrado (dovute anche a terremoti), l’interpretazione storica e il riconoscimento dei materiali utilizzati (Fig. 2).
Fig. 2 – Fontevivo (PR), Abbazia, lettura stratigrafica degli alzati per un progetto di restauro).
Quest’analisi, funzionale ad acquisire dati utili non solo ai restauratori ma anche e soprattutto agli architetti e agli ingegneri che dovranno intervenire su un tessuto storicizzato, è quindi uno degli strumenti “preventivi” da utilizzare per una corretta progettazione, permettendo di concordare sin da subito la localizzazione degli interventi preliminari di verifica strutturale o i sondaggi sulla stratificazione delle superfici e conseguentemente le successive attività di restauro vero e proprio. Anche in questo contesto diventa fondamentale comprendere come il dialogo tra i professionisti sia il primo punto di partenza e veda il confronto tra le varie competenze volto a rimettere in uso o in sicurezza una struttura, senza derogarne la tutela.
L’archeologo come progettista in grado di dialogare in ambiti multidisciplinari
Il cambio della normativa ha permesso quindi alla figura dell’archeologo di ampliare l’ambito delle proprie attività professionali, acquisendo a pieno diritto pari dignità nei contesti progettuali, siano questi legati all’archeologia preventiva, alla pianificazione territoriale o al restauro.
Analizzando tutte queste nuove possibilità di attività professionale possiamo riconoscere alcune necessità comuni:
- il cambio nella mentalità dell’archeologo, non più singolo studioso ma progettista che trasformi in plusvalore la propria preparazione e competenza;
- la capacità di adattarsi ai tempi sempre più ristretti delle progettazioni tramite la strutturazione in gruppi di lavoro o l’utilizzo di nuove e tecnologie;
- l’acquisizione di nuove competenze e conoscenze, da legarsi al concetto di formazione in evoluzione continua, declinata dall’avvicendarsi delle normative e delle tecnologie;
- la necessità di lavorare, come usuale per tutti gli ambiti di progettazione, in gruppo, sia questo di soli archeologi che multidisciplinare;
- il consolidamento di un dialogo, tramite linguaggi, metodologie e tecnologie condivise, con le altre figure professionali coinvolte nella progettazione;
Si apre quindi un orizzonte professionale estremamente interessante che proietta l’archeologo nel mondo della progettazione a tutto tondo, in grado di fornire proposte e soluzioni, producendo elaborati interoperabili e perfettamente comprensibili a tutte le figure concorrenti, siano esse progettisti o esecutori. Se saremo in grado di proseguire in questa strada, apertasi grazie all’archeologia preventiva nemmeno trent’anni fa, cogliendone le possibilità che ci verranno offerte, non solo aumenteranno le possibilità lavorative come valore numerico ma anche e soprattutto come possibilità di carriera professionale.
Autore
Cristina Anghinetti
Archeoimprese
www.archeoimprese.it/
Abacus srl (PR)
abacusparma.it/
Anghinetti, C. (2024). L’archeologia preventiva come ambito professionale. GEOmedia, 28 (4). Recuperato da https://www.mediageo.it/ojs/index.php/GEOmedia/article/view/2022
Pre-abstract del Primo Convegno Nazionale in "Archeologia Preventiva: Teorie, metodi ed esperienze", Soriano nel Cimino 18-19 Ottobre 2024.
Leggi GEOmedia 28 (4) 2024 a questo link
Guarda il video del convegno
Guarda tutti quanti gli interventi del convegno (Link alla Playlist)
L’iniziativa del Primo Convegno Nazionale in "Archeologia Preventiva: Teorie, metodi ed esperienze", Soriano nel Cimino 18-19 Ottobre 2024, nata all’interno del Master di II livello in “Archeologia Preventiva e Gestione del Rischio Archeologico”, è stata promossa dall’Università degli Studi della Tuscia, il Ministero della Cultura (DG Musei, DG ABAP), ICA (Istituto Centrale per l’Archeologia), Italferr (Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) e Archeoimprese (associazione delle imprese archeologiche), SABAP Viterbo e Etruria Meridionale, in collaborazione con il Comune di Soriano nel Cimino, il Museo Civico Archeologico dell’Agro Cimino e l’Ente Sagra delle Castagne.
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